Scienza e Progresso

locomotivaLa nostra stolta società e un’economia stupida stanno oggi portando il pianeta sull’orlo del baratro. La sopravvivenza terrestre dipende da un modo di pensare totalmente “innovativo”. Ma dove ci porterà il Progresso? La parola “progresso” è stata sempre molto usata nei dibattiti culturali e lo è tuttora nel discorso comune. Il suo significato generale per la storia umana fu discusso durante tutta la modernità. Il suo significato specifico per la scienza fu approfondito, più criticamente, dall’epistemologia e dalla storia delle scienze, dalla metà del XIX a tutto il XX secolo. Etimologicamente “pro-gresso”(lat. pro-gredi) indica un cammino in avanti, un movimento in una data direzione e, soprattutto, un “avanzamento”, un graduale sviluppo e passaggio a qualcosa in più o in meglio. In questo senso può applicarsi a tutto: conoscenze, idee, metodi, oggetti, congegni, opere, relazioni sociali, costumi, stili di vita, ecc. Nel concetto di progresso sono incluse le idee di “miglioramento” e “perfezionamento”. Il loro contrario è il “regresso”, o arretramento, ovvero il ritorno a stadi primitivi meno avanzati. Il progresso riguarda soprattutto lo specifico umano: intelligenza, volontà, capacità e opere che ne conseguono. In senso generale il termine fu riferito alla storia universale del genere umano intesa come avanzamento continuo e unilineare; accumulo omogeneo di conoscenze; miglioramento illimitato delle condizioni morali e materiali. In senso specifico fu riferito soprattutto alle scienze sperimentali moderne e alle loro conseguenze: sviluppo omogeneo e cumulativo delle diverse conoscenze; accrescimento intellettuale e morale, mediante le “verità” scientifiche; felicità umana come benessere materiale ecc. Questa visione del progresso raggiunse il suo culmine dal secolo XIX alla metà del XX. Come tale fu inculcata nelle masse ed applicata in ogni ambito: cultura, storia, civiltà, istituzioni, scienze, tecnica, mass-media, ecc., finendo per invadere gli ambiti politico, sociale, teologico ed ecclesiale. Nell’antichità l’idea non fu del tutto ignota, ma rimase sacrificata da suggestioni mitiche. Nel V secolo a.C., i successi in matematica e medicina portarono i Greci a collegare scienza e progresso. Per stoici e neo-platonici, il termine indicava il miglioramento personale, morale e ascetico. La rivelazione biblico-cristiana, invece, introdusse alcune idee che divennero fondamentali per il concetto di progresso: visione unitaria dell’umanità; salvezza come storia universale; storia orientata dalla Provvidenza verso un fine positivo; concezione lineare del tempo; successione degli eventi storici; esigenza di miglioramento morale e spirituale, ecc. La loro esplicitazione in contenuti più concreti e specifici, tuttavia, dovette attendere il verificarsi di fattori culturali e condizioni storiche assai diverse rispetto a quelle dell’antichità. Nei primi secoli dell’era cristiana, quindi, si alternarono atteggiamenti diversi e valutazioni opposte riguardo al progresso o declino, umano, morale e storico.

Nel Medioevo si riprese nuovamente l’idea del progresso come impegno personale volto a migliorare non solo la conoscenza ma, soprattutto, il comportamento morale, religioso e spirituale. Secondo S. Tommaso d’Aquino (1224-1274), «per la ragione umana sembra naturale giungere per gradi dall’imperfetto al perfetto» (Summa theologiae, I-II, q. 97, a. 1). Il contesto mutò radicalmente nella modernità, che dibatté filosoficamente il «progresso storico» dell’uomo e dell’umanità, intrecciando o sovrapponendo interpretazioni positive e negative. Nell’umanesimo e rinascimento il pensiero europeo si concentrò sugli aspetti della vita terrena. Nel secolo XVII, emerse il sapere scientifico-sperimentale, salutato come conoscenza ideale e perfetta. I suoi sostenitori più convinti furono i precursori dell’ideologia del progresso. F. Bacone (1561-1626) vedeva il sapere sperimentale capace di impieghi utili. Lo dimostra Cartesio, che chiamò il suo Discorso sul metodo con un titolo più significativo e pretenzioso: Progetto di una scienza universale capace d’innalzare la nostra natura al massimo grado di perfezione. L’identità della natura e il carattere cumulativo del sapere divennero le basi della teoria del progresso umano. L’illuminismo francese propugnò un fideismo ideologico nel progresso, molto utopico e astratto, inteso come motore della storia e destino dell’umanità. Nella seconda metà del secolo XVIII, epoca d’oro dell’illuminismo, la fede nel progresso permeava ogni ambito, sostenendo l’idea di un progresso positivo garantito dal “potere della ragione”, luce dello spirito umano. Nel XVII secolo, le guerre dette di religione fecero apparire proprio le religioni come il maggior ostacolo al progresso umano. Dal secolo XVIII alla prima metà del XIX queste idee condizionarono il rapporto fra scienza e progresso. Nella modernità, tuttavia, vinse la linea che auspicava una “scienza sperimentale del progresso”. Kant elaborò una teoria del progresso umano e una legge delle civiltà, in cui i progressi cognitivi fanno superare i limiti e i difetti del presente e progredire verso il fine ultimo dell’umanità. Compito del sapere teorico-pratico era di prevedere e orientare il destino, mentre la filosofia potenziava le conoscenze scientifiche e capacità tecniche con cui l’uomo domina la natura e perfeziona la propria libertà. La storia, quindi, era un continuo progresso verso la maggiore libertà umana, mentre la ragione pratico-politica faceva avanzare verso progressi necessari. Nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia (1837), anche Hegel legittimò il progresso di tutto il genere umano, mediante le scienze naturali, la tecnica e le istituzioni giuridiche. Simili ottimismi eccessivi sul progresso, le sue forme e i suoi strumenti di dominio della storia e delle forze naturali, provocarono significative reazioni critiche. Nacque infatti l’idea che il progresso esige una critica filosofica alla razionalità scientifica. Essa s’impose sempre più fino a che, nella seconda metà del secolo XIX, la critica filosofica e storica poté concentrarsi sui compiti, limiti, metodi e condizioni di esercizio della razionalità scientifica. Essa mise in luce l’ambiguità e problematicità del concetto di progresso, inteso sia in senso generale-globale per la storia umana, che specifico-settoriale per le scienze e la tecnica. Per approfondire il rapporto fra progresso e scienze, si rivisitarono i pensieri, atteggiamenti e giudizi dei fondatori della scienza moderna. La vecchia storiografia aveva attribuito loro le idee che ora sono maggiormente criticate: progresso lineare cumulativo; ragione scientifica volta a sconfiggere superstizioni, religioni, teologia, rischi e mali; progresso inarrestabile e irreversibile delle scienze come legge necessaria della storia; ostacoli sempre provvisori e superabili; natura totalmente dominabile; illimitate capacità creative dell’uomo; scienza come valore centrale della storia universale; scienze e tecnica come modelli universali del progresso, ecc. La critica storica mostrò, invece, che tali attribuzioni non erano sostenibili. Alcune risultavano ideologiche e propagandistiche o proprie di tempi posteriori. Comunque non erano reperibili nelle opere dei maggiori scienziati quali Keplero, Galilei, Newton, o filosofi quali F. Bacone, Boyle, Cartesio, Pascal, Leibniz. Si ritrovano, piuttosto, nel pensiero ideologico e politico-sociale del secolo XIX e nei positivisti e idealisti che, pur discordi su tutto, concordavano nel “culto al progresso”. Nel frattempo, la cultura scientista propagava i miti del progresso illimitato e le utopie della definitiva sconfitta di mali, dolori, ingiustizie e negatività. Tra i secoli XVIII-XX, l’idea del progresso tecno-scientifico guidò la rivoluzione delle macchine e delle industrie, che fece considerare «progresso» anche i bisogni più artificiali e superflui. Occorse del tempo per scoprire che questi, essendo inesauribili, irrazionali e coercitivi, sprecavano in modo crescente risorse, energie e tempo. Il progresso tecno-scientifico in funzione dell’economia e dell’industria mostrava la sua radicale ambiguità. Da un lato migliorava il tenore di vita, debellando malattie, epidemie, carestie e altri mali per cui, senza di esso, l’umanità non sarebbe sopravvissuta. D’altro lato peggiorava la vita con numerosi regressi: inquinamento dell’aria, acqua e suolo; origine di malattie e di morti “da civiltà”; spreco di risorse; possibile annientamento del mondo e dell’umanità. Si necessitava, dunque, orientamento e controllo.

L’evoluzionismo darwiniano mutò radicalmente l’idea del progresso, inteso come avanzamento della storia e dell’umanità verso una direzione desiderabile. Lo ridusse, invece, a una successione casuale, interminabile e cieca, priva di significato cosmologico e di senso storico. In questo modo vanificava proprio quell’idea di razionalità del cosmo e della storia che aveva ispirato la scienza moderna Ne comprometteva pure il progetto originario di «scoprire la verità per migliorare il futuro dell’umanità» Di conseguenza si tentò di recuperare il vecchio senso del progresso, come illimitato miglioramento dell’umanità. Nel secolo XX, gli sconvolgenti mutamenti nelle scienze fisiche, i tragici interrogativi sollevati dalle guerre mondiali e locali, l’olocausto ebraico e nucleare, il ricorrere di devastanti crisi economiche, il susseguirsi di barbare e tiranniche dittature ed infine la guerra fredda, distrussero ogni residuo d’ingenua fiducia nel progresso. Il dibattito generale si spense. Ciò avrebbe consentito di concentrare l’attenzione sul progresso delle e nelle scienze, in condizioni storiche e contesti socioculturali assai diversi dall’epoca precedente. Ormai il mondo appariva trascinato da eventi incontrollabili che ispiravano sgomento e pessimismo. Razionalità scientifica, tecnica, economica o industriale, erano criticate e accusate di opprimere le persone, violare la natura, imporre la tirannia delle macchine. Ai temi del progresso subentravano, sempre più, quelli dell’alienazione, emarginazione, restrizione e soppressione della libertà, perdita di valori, fini e significati, sopravvivenza. La modernità era accusata di portare a una “nuova barbarie”. La vecchia identificazione razionalista-positivista della scienza con il progresso sopravviveva nei media, nella scuola e, in parte, nel linguaggio comune. Si moltiplicavano le critiche alle attività e imprese tecnoscientifiche, ritenute negative per il pianeta e “regressive” per la specie umana. In tal caso, i criteri per valutare un’attività, nella prospettiva del progresso umano globale, devono riguardare il bene e l’utilità autentica di persone, società e culture. Si è già visto che il dibattito moderno mostrò l’inesistenza di un progresso storico del genere umano, globale e continuo in tutti i settori. La parola progresso sembra racchiudere in sé forza, potere, infallibilità. Accompagna la vita quotidiana dell’uomo moderno. E’ fautore di ricchezza e agio. E’ motore e spinte delle continue innovazioni che contraddistinguono la quotidianità della civiltà del terzo millennio. Allo stesso tempo però è anche causa della distanza insormontabile che divide i popoli che sono riusciti a cogliere i suoi maggiori frutti da quelli che sono “rimasti indietro”, E proprio questa distanza amplifica il suo potere. Il progresso fa sentire inviolabili e spinge a raggiungere livelli di evoluzione sempre più elevati: è un processo inarrestabile che assieme con i benefici, crea anche numerosi danni. Così, ciò che ai criteri interni di un singolo settore o di una scienza può apparire un progresso, per altri ambiti (etica, società, cultura, politica ecc.) o per l’insieme, può rappresentare un vero e proprio regresso.

I rapporti fra progresso delle scienze e condizione umana focalizzavano l’interrogativo se la scienza possa dirsi un progresso in se stessa o solo rispetto a un generale progresso umano. Di fronte a conoscenze scientifiche più numerose, ampie e rigorose rispetto al passato, ci si chiedeva in che consisteva il loro progresso e come valutarlo. Il dibattito si spostava da un generico e ipotetico progresso delle scienze, a un più concreto e specifico progresso nelle scienze. Questa discussione, assai più interessante e complessa, è tuttora in pieno svolgimento. era lo spirito che, nella seconda metà del secolo XX, animava il dibattito sul progresso scientifico. Messe da parte le grandi visioni sul futuro storico dell’umanità, si provvide a focalizzare i concreti aspetti epistemologici ed euristici dell’attività scientifica. Si precisarono pure le componenti semantiche dell’idea di progresso: «avanzare», «mutare», «migliorare». Avanzare non significa necessariamente mutare in meglio o migliorare, poiché pure le malattie avanzano, ma peggiorano la salute (regresso). Neppure il mutare è un progredire, poiché ovunque, compreso nelle scienze, s’incontrano alternativamente progressi, regressi e declini. I termini: «migliorare» e «meglio» implicano un giudizio di valore che non è, necessariamente, di tipo etico. Ciò premesso, si notava che i progressi non si potevano presumere né postulare, ma esigevano, ogni volta, dimostrazioni e valutazioni epistemologiche che non sono “misurazioni matematiche”. Con questo, decadevano pure i dogmatismi sul “progresso lineare e cumulativo” della scienza; sull’inconfutabilità delle verità scientifiche e sul progresso unilineare e omogeneo delle conoscenze. La nuova impostazione esigeva, soprattutto, nuovi modi e criteri per valutare i “progressi interni”.I n tal caso, i criteri per valutare un’attività, nella prospettiva del progresso umano globale, devono riguardare il bene e l’utilità autentica di persone, società e culture. Si è già visto che il dibattito moderno mostrò l’inesistenza di un progresso storico del genere umano, globale e continuo in tutti i settori. La parola progresso sembra racchiudere in sé forza, potere, infallibilità. Accompagna la vita quotidiana dell’uomo moderno. E’ fautore di ricchezza e agio. E’ motore e spinte delle continue innovazioni che contraddistinguono la quotidianità della civiltà del terzo millennio. Allo stesso tempo però è anche causa della distanza insormontabile che divide i popoli che sono riusciti a cogliere i suoi maggiori frutti da quelli che sono “rimasti indietro”, E proprio questa distanza amplifica il suo potere. Il progresso fa sentire inviolabili e spinge a raggiungere livelli di evoluzione sempre più elevati: è un processo inarrestabile che assieme con i benefici, crea anche numerosi danni. Così, ciò che ai criteri interni di un singolo settore o di una scienza può apparire un progresso, per altri ambiti (etica, società, cultura, politica ecc.) o per l’insieme, può rappresentare un vero e proprio regresso.